“B” come “basta”. Nel cammino di riscoperta della propria persona e della propria identità giovanile c’è un doppio versante da tenere presente: quello oggettivo, cioè l’incoraggiamento costante che comporta il superamento di una visione nichilista e poco incline al nuovo la quale tende a relegare i giovani come fruitori piuttosto che come protagonisti dell’esistenza, e quello soggettivo, di stretta competenza dei giovani e consistente in un impegno teso a far emergere il proprio contributo nello sviluppo della società e delle istituzioni, Chiesa compresa. Se è compito degli adulti sottolineare la dimensione oggettivo-pubblica agendo in maniera sistematica e non episodica, è invece esclusiva dei giovani riempire di novità la convivenza umana, le istituzioni e le relazioni.
In queste righe proviamo a riflettere su questo aspetto partendo dalla convinzione che non serve gridare “basta” o dire dei “no” a ciò che non va o non piace, ma occorre passare dalla denuncia alla proposta. Tale passaggio avviene quando il giovane prende consapevolezza che il mondo si rinnova grazie a lui, che nessuno può fare a meno della sua capacità di vedere e immaginare la bella società che deve venire. Gli adulti ri-propongono le stesse minestre, i giovani ri-creano la società. Quando tale consapevolezza diventa esplicita la società fa passi in avanti.
Abbiamo molti esempi, e a tutti i livelli. Ricordo solo alcuni tra i più recenti. A 20 anni Steve Jobs fonda nel garage di casa la Apple Computer Inc; sempre a 20 anni Mark Zuckerberg lancia il sito Thefacebook; a 24 anni Elon Musk fonda la Zip2 un’azienda di software dalla cui vendita poco dopo incassa ben 22 milioni di dollari; a 25 anni Daniel Georg Ek lancia la piattaforma Spotify AB che offre lo streaming on demand di brani musicali. Passando ad altro ambito come non ricordare Greta Thunberg che a 15 anni inizia ad essere l’attivista ecologica più famosa del pianeta, o Malala Yousafzai che a 17 anni ritira il premio Nobel per la pace per la lotta contro la sopraffazione dei bambini e dei giovani e per il diritto di tutti i bambini all’istruzione; o anche la meno conosciuta Emma Gonzalez che a 18 anni, dopo essere sopravvissuta al massacro nella sua scuola in Florida, ha dato vita alla “Marcia per le nostre vite” contro l’acquisto e il possesso di armi negli Usa portando in piazza più di due milioni di persone. L’elenco sarebbe ancora lungo. Così, tra i giovani che hanno preso a modello Cristo ricordo come esempio Akash Bashir, di nazionalità pakistana, che a 20 anni si è sacrificato per impedire che un attentatore suicida provocasse una strage nella chiesa cattolica di San Giovanni in Lahore. Quella domenica del 2015 Akash svolgeva il servizio d’ordine per la sua parrocchia. Vede due uomini sospetti e gli serve poco per capire che erano terroristi. Mentre uno scappa egli abbraccia l’altro e in quell’abbraccio sente la cintura esplosiva. Il terrorista gli intima di lasciarlo passare, ma Akash risponde: “Da qui non passi”. Con il suo sacrificio Akash ha salvato la vita di centinaia di persone raccolte per la messa domenicale e ha rinvigorito la fede dei cristiani nel suo paese.
Sono esempi. Sicuramente emblematici, ma indicativi del potere dei giovani quando prendono possesso della propria autenticità piuttosto che sprecarla in focose denunce e rumorose contestazioni. Anche per questo sono sempre attuali le parole di S. Agostino: “Si isti et istae, cur non ego?” = “Se questi e quelli ne sono stati capaci, perché io no?”
Per quanti desiderano riemergere dal baratro di sé stessi e riaffacciarsi alla dimensione bella della vita il racconto del figliol prodigo del vangelo di Luca (15,11-32) offre le indicazioni fondamentali per pronunciare il basta soggettivo, principio di nuova vita.
Lottare per la propria indipendenza – “Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta” esordisce il figlio minore. La separazione non è determinata da un litigio con il Padre, ma da un desiderio di indipendenza, da una ricerca di felicità in un luogo diverso. Egli compie una scelta radicale motivata solo da un bisogno di libertà; tuttavia si può leggere in questo errore il bisogno di non sentirsi oppresso e schiavo. È una lettura volutamente di parte, ma ugualmente necessaria. Rimandando per mille ragioni il loro allontanamento dalla casa paterna i giovani producono un corrispondente ritardo di crescita della società. Tra una dipendenza che perde la forza dell’innovazione e una indipendenza all’inizio pasticciona, è preferibile quest’ultima. Dal disordine si può ritornare originali dopo aver mischiato le carte di quanto si è ricevuto; gli ordinati sono copie imbrigliate nello schema degli adulti. Solo dalla messa in discussione del paradigma conoscitivo adulto può nascere una scienza nuova del vivere. Questo principio vale per ogni ambito della società. La fede nei giovani ha bisogno di un paradigma nuovo: Cristo non cambia, ma come avvertirne oggi la sua Parola è tutto da vedere!
Attraversare il terremoto del proprio fallimento – “Quando ebbe speso tutto… rientrò in sé stesso e disse: “Mi alzerò e andrò da mio padre e gli dirò di aver peccato contro di lui”. Di fronte a queste parole dolorose e nuove del figlio sento già le solite grida degli adulti: “Te lo avevo detto”, “Non mi ascolti mai”, “Peggio per te”… È il catechismo degli adulti… che serve solo ad alimentare sensi di colpa frustranti. Difatti il Padre del racconto di Gesù non dice questo. Piuttosto siamo di fronte a quel processo che deve necessariamente avvenire: il passaggio dall’avere informazioni sulla vita alla interiorizzazione di quelle stesse mutuate con il proprio carattere e la propria originalità. Questo passaggio è autentico quando si è toccati nella carne, quando si fa esperienza del vuoto e del dramma conseguente. Quando il giovane riesce a trovare un bandolo rispetto alla confusione in cui è immerso, ma un bandolo che sia il suo. Soltanto dopo egli si accorgerà che nel nuovo ordine c’era qualcosa di già ascoltato. George Herbert in una meravigliosa poesia descrive Dio che nel creare l’uomo gli riversa addosso tutte le grazie (forza, bellezza, intelligenza, onore, gioia e tutti i tesori della terra) ma conserva per sé la pace: “solo la pace sul fondo restava. E disse: Se donassi anche questo gioiello alla creatura, adorerebbe i miei doni, non me /la natura, non il suo Creatore… / Si tenga gli altri beni, ma con un’inquietudine struggente; /sia ricco e triste, perché almeno se non guidato da virtù, sbattuto dalla stanchezza approdi al mio seno”. Proprio ciò che è avvenuto nel giovane della parabola. L’alienazione riporta a galla la nostalgia di una vera casa e quindi il bisogno di ritrovarla e magari costruirne una nuova. Il basta si è trasformato in nuovo inizio.
Costruire il nuovo a partire dal dolore – “Facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. Le parole del Padre, immagine vera di Dio, rappresentano un inno di gioia per il figlio; la gioia è tanto più grande ed intensa quanto poca era la speranza di rivederlo. Il figlio riaccolto tornerà a vivere, a lavorare; ma anche a innovare, a modellare la ‘nuova’ vita rispetto agli abissi in cui potrebbe ricadere. Non è la stessa vita di prima. Non potrà mai essere come prima, perché la disperazione non lascia indifferenti il nostro cuore. Non cambia la testa, ma il cuore. Ed è nel cuore che avvengono le grandi rivoluzioni personali e sociali. Solo quando Pietro fa esperienza della sua distanza da Cristo avrà finalmente costituite le basi antropologiche per poter dare la vita per il suo maestro e per la Chiesa.
Hai da dire il tuo basta sincero e concreto. Il tuo basta nella società, nel mondo del lavoro, nei modelli formativi, nella tua parrocchia. Un basta che ha il sapore di una rottura ma anche di una bellezza nuova. Ti attende di far compiere alla tua vita e alla vita di tanti altri un passo in avanti.
Vittorio Zeccone