In questo itinerario di indicazioni e atteggiamenti da coltivare al fine di stabilizzare la vita di un giovane credente non può mancare la resilienza. Il termine ha acquisito grande diffusione ed in qualche modo può declinarsi anche in una versione “spirituale”.

Benché il termine sia utilizzato da varie scienze, per il nostro discorso il punto di partenza è l’ambito psicologico: la resilienza è la capacità di reagire di fronte a traumi, difficoltà, avversità ed eventi negativi. Essa è considerata come una predisposizione o una proprietà di cui gli uomini sono dotati, ma anche come una competenza che è possibile acquisire o rafforzare. In tal senso non mancano indicazioni per sviluppare la capacità di “risalire” attivando risorse interne ed esterne, tra cui l’individuazione di persone giuste di cui circondarsi, la scelta di opporsi con fiducia in se stessi ai condizionamenti di ciò che accade, o anche la capacità di trasformare un’esperienza avversa in opportunità di crescita e rafforzamento. Tra le tante immagini che aiutano a comprendere cosa sia la resilienza v’è sicuramente quella di Giacomo Leopardi che nella poesia La Ginestra o il fiore del deserto sottolinea come questa pianta cresce anche negli ecosistemi più svantaggiati, sulle pendici dei vulcani e nonostante venga bruciata dalla lava, essa rinasce con i suoi fiori gialli dal profumo intenso. Per il poeta la ginestra è simbolo della condizione umana: come la pianta si piega per riuscire a sopravvivere, allo stesso modo l’uomo deve essere flessibile per adattarsi al cambiamento.

A noi però interessa soprattutto cogliere le sfumature di questo termine in ambito spirituale, all’interno di un percorso che si apra a Dio, piuttosto che puntare esclusivamente su se stessi. Ci spinge a sondare questa dimensione spirituale il fatto che non tutti sono forniti dei medesimi strumenti e competenze umane e per questo la persona che si affida a se stessa giungerà a risultati proporzionati alle sue capacità. Come uno studente che avrà un profitto proporzionato all’impegno e alle sue doti. C’è il rischio di una spiritualità gnostica.

Ora, pur accogliendo i suggerimenti che provengono dall’ambito psicologico, la Bibbia testimonia un passaggio ulteriore e meraviglioso. Affidarsi alla resilienza divina. Cito solo alcuni testi per farcene intravvedere l’orizzonte.

1 Pietro 1,6-7: «Umiliatevi sotto la potente mano di Dio, perché vi esalti al tempo opportuno, gettando in lui ogni vostra preoccupazione, perché egli ha cura di voi».

1 Corinti 1,26-29: «Considerate la vostra chiamata, fratelli: non ci sono tra voi molti sapienti, secondo la carne, non molti potenti, non molti nobili. Ma Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti. Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio».

Luca 1,51-52 mette sulla bocca di Maria queste parole: «ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili…».

Se poi allarghiamo lo sguardo all’Antico Testamento basterebbe considerare la storia di Giobbe, o le fasi che portarono alla vittoria di Gedeone, o al combattimento di Davide contro Golia… La Parola di Dio è carica di episodi in cui colui che crede, pur non avendo grandi mezzi, a volte addirittura disimpegnandosi (si pensi al profeta Giona!), ritrova in sé un centro vitale che è la fede in Dio. Tale Presenza vive e si muove dentro di noi così che la persona si riscopre parte di un progetto d’amore più ampio che finalmente riaccende motivazioni ed energie. Emblematico è il racconto del giorno di Pentecoste: gli apostoli scoraggiati e privi di ogni motivazione, ricevono lo Spirito Santo e riprendono in mano la propria vita e la missione affidatagli da Cristo (cf. Atti 2).

Dalla Scrittura emerge una incontrovertibile verità: appoggiarsi a Dio, pur partendo dai propri limiti (di fede, di conoscenza, di mezzi), è scoprire pian piano che il Dio di Gesù Cristo non si arrende fino a quando non trova uno spiraglio nel cuore dell’uomo per comunicargli la sua misericordia e la sua fiducia incondizionata.

Se dunque è importante la capacità di resilienza della persona umana, essa rimane però legata alle capacità, alla gravità degli eventi e alla forza morale. È invece la resilienza divina l’assoluto a cui ogni giovane può guardare e a cui può imparare ad affidarsi. Basta trovare tempo per leggere la Parola di Dio e ricevere la medesima risonanza: Io sono il Dio che ci sta, non ti abbandono, tu puoi decidere di voltarmi le spalle ma Io non lo farò mai. Il profeta Isaia giunge a configurare la resilienza divina in una modalità che a noi sembra paradossale: «Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai. Ecco, ti ho disegnato sulle palme delle mie mani, le tue mura sono sempre davanti a me» (49,15-16).

Approfondire la resilienza divina non è ricerca di miracolismo, né è un modo di evitare lo sforzo che compete all’uomo. Piuttosto è l’invito che Dio padre rivolge ad approfondire la relazione con Lui. A principio di questa amicizia Dio non cerca prestazioni, raggiungimento di livelli di moralità, esecuzione perfetta di riti e forme, ma esprime fiducia: sappi che Io non ti mollo!

La resilienza divina è il fulcro per cui qualunque giovane deluso e distrutto da questa vita può ricevere il medesimo impulso degli apostoli nel cenacolo. E camminare verso la Luce.

Vittorio Zeccone