La formazione di un giovane forte nello Spirito non è cosa che avviene da un giorno all’altro. Accogliere e fare propri i principi del Vangelo richiede un tempo nel quale il giovane gradualmente elabori e faccia la sua personale sintesi tra messaggio cristiano, carattere personale e scoperta della propria missione. L’individuo e la comunità formante (parrocchia, oratorio, associazione) debbono evitare due eccessi: da un lato sacrificare la persona in ragione di un comunitarismo ideale ma inesistente; dall’altro esautorare del tutto la comunità (qualunque essa sia) in ragione della propria individualità. Nel primo caso si perderebbe l’originalità e la dignità di ogni persona; nel secondo si cadrebbe in un relativismo che manipolerebbe il respiro universale del Vangelo ai propri gusti e desideri. Entrambe le patologie sono un rischio da evitare.
Abbiamo difficoltà ad accogliere anche la nozione di equilibrio spirituale. Come se ci fosse un punto preciso da raggiungere in cui possiamo star sicuri che la vita vada a gonfie vele? Come se esistesse un termostato dell’anima che mantiene la medesima temperatura in ogni situazione di vita! Un’utopia creata nelle accademie e nella quale si sono rifugiati nel tempo modelli educativi e religiosi. Papa Francesco al riguardo ha parole molto chiare: «C’è una parola che non mi piace: la parola “equilibrio”. La vita non è un equilibrio (…). L’equilibrio lo faccia quello che lavora nel circo (…), ma la vita è uno squilibrio continuo, perché la vita è camminare e trovare, trovare difficoltà (…). Se tu hai delle pratiche da fare hai bisogno di un equilibrio nella pratica (…), ma l’equilibrio nella vita è anche l’equilibrio con l’esperienza di perdono e di misericordia per il peccato (…). E questo è uno squilibrio grande perché ti porta all’umiltà. Piuttosto direi: non avere paura dello squilibrio: siamo umani. E nello squilibrio fare il discernimento. Una persona equilibrata non può fare il discernimento, perché non ha mozioni di spirito. Nello squilibrio ci sono delle mozioni di Dio che ti invitano a qualcosa, alla volontà di fare il bene, a rialzarsi dopo la caduta nel peccato (…). Parlerei dunque di un equilibrio dinamico, che non sono io a poterlo reggere: lo regge il Signore» (A seminaristi e sacerdoti che studiano a Roma, 24.10.2022).
Per incamminarsi verso questo equilibrio dinamico occorre che il giovane si metta in cammino. Ma non è detto che lo voglia fare. Per questo è fondamentale il ruolo della comunità cristiana. I cammini sacramentali non riescono più ad adempiere questo compito: non danno più gli stimoli necessari perché il giovane, una volta che li ha terminati, possa continuare la sua ricerca di Dio. Bisogna piuttosto che si attivino percorsi capaci di intercettare le domande di fondo presenti nel cuore. Più che dibattiti sui grandi temi, sono necessari percorsi nei quali i giovani si sentano chiamati in causa: bisogna partire dalla loro realtà. Le domande di fondo sono le stesse, ma il modo di approcciarle cambia ad ogni epoca. Un buon percorso è quello capace di aiutare il giovane a creare una relazione personale con Dio, non in astratto, ma in un profondo legame con la vita. Ce lo insegna continuamente la Scrittura, che collega il vero culto spirituale ad un rinnovamento della mente per poter discernere la volontà di Dio nel vissuto e nelle relazioni (cf. Rm 12,9-21).
La Chiesa ha sempre cercato risposte in forme nuove a domande vecchie. D’altronde il cristianesimo rappresentò – a principio – una risposta nuova alla religione ufficiale. Ulteriore rinnovamento fu quello dei Padri del deserto (IV sec.) che – dopo la pace costantiniana – cercavano nei luoghi deserti la relazione con Dio. È vero che quest’ondata di rinnovamento si realizzò in forme che oggi riteniamo improponibili, ma quegli uomini attirarono migliaia di giovani. Si pensi agli asceti che consideravano i luoghi deserti come una zona intermedia, tra il mondo profano e il regno; agli eremiti che, secondo la definizione di Macario, erano «uomini ebbri di Dio»; agli anacoreti veri e propri ribelli di Dio; ai brucatori che si nutrivano di erbe e di radici; ai reclusi che si seppellivano nell’oscurità di antichi sepolcri; ai dendriti che si incatenavano a un ramo d’albero per non toccare più la terra insozzata dall’uomo; o agli stazionari che rimanevano immobili in stato di preghiera perpetua. Lo stesso movimento cenobitico, coevo agli eremiti, fu un’altra risposta riuscita. Pure il francescanesimo (XIII sec.) fu una risposta assolutamente nuova alla Chiesa delle insegne e dello sfarzo. Quindi gli ordini mendicanti (XV sec.) e dei chierici regolari (XVI-XVII sec.): tutte risposte giuste per quei tempi. Più recentemente il Concilio Vaticano II e tutti i movimenti laicali hanno continuato a spianare strade nuove per gli uomini.
Questa carrellata – pur limitata – ha lo scopo di rammentare che è possibile anche oggi trovare strade nuove. Il filo conduttore di tutti questi movimenti è che la risposta alla domanda su Dio è stata originale, non banale. Pertanto le uniche risposte ammissibili per i giovani devono essere radicali, autentiche e vissute giorno dopo giorno.
Se partiamo dalla certezza che la domanda su Dio (nelle sue varie forme) non si spegne mai, è necessario una nuova radicalità nella risposta al Vangelo. L’autenticità ha un potere attrattivo; dopodiché è possibile formulare proposte quotidiane.
Quotidianità è proporre ai giovani, dopo averli scossi con la radicalità e l’autenticità, che è bello vivere con Gesù. Camminiamo verso un tempo in cui i riti rimangono ma si svuotano sempre più della Divina Presenza. Essa si mostra nelle persone. Solo vivendo l’evangelo nelle cose più umili della nostra vita quotidiana ci si avvicina in modo sorprendente a Gesù e agli uomini al tempo stesso. I pastori, gli educatori non devono tanto mostrare «regole di vita», spesso così disadatte alla vita reale, ma uno «stile di vita», una spiritualità attenta alla misteriosa e multiforme presenza di Cristo che ci attende e che attende da noi una certa fantasia inventiva. L’unica liturgia che ancora riesce a parlare ai giovani di oggi è la propria vita. Solamente questo tipo di proposta può – faticosamente – ribaltare l’universo giovanile soggiogato dall’effimero.
La quotidianità è una sfida per i giovani nel percorso di costruzione del proprio equilibrio dinamico; ma questa sfida viene innestata dagli adulti nella fede e dalle comunità cristiane. Tertium non datur.
Vittorio Zeccone