Sono consapevole di affrontare un tema che gode di poco ascolto. Una società impostata sul consumo e sul diritto a dare libero spazio ad ogni emozione, non riconosce più il tema della purezza. Non se ne parla più in famiglia, laddove i genitori preferiscono orientare la loro autorità sul rispetto delle regole e la conservazione fallace di una sorta di controllo, benché esteriore. Non se ne parla più a scuola dove – viceversa – trovano sempre più spazio i temi dell’educazione sessuale e della libertà di genere, affermati come valori, senza la minima preoccupazione di agganciarli ad una base antropologica e spirituale (in senso ampio) della persona. Non se ne parla più neanche nella Chiesa, sopraffatta dal timore di risultare impopolare piuttosto che riprendere ad attraversare e a riproporre i sentieri di un’autentica ascetica e della formazione di una persona abitata dal dono che viene dall’Alto. La purezza è liquidata come un residuo culturale, marchio di una società passata. L’inganno è potente se solo ci fermiamo alla constatazione di quello che siamo diventati.
Anzitutto un chiarimento terminologico. Purezza, in latino, come in francese e in italiano, ha anzitutto un senso materiale: ciò che è puro è ciò che è pulito, senza macchia, senza sporcizia. L’acqua pura è l’acqua non mescolata ad altro. Tuttavia quest’acqua sarebbe tale solo in laboratorio, neanche quando sgorga dalla fonte perché, ben presto, è destinata a sporcarsi con i germi, il calcare, i sali minerali… Così è la vita: all’origine è pura, integra, poi è destinata a contaminarsi in qualche modo, sempre. Pertanto la purezza in questo senso è impossibile: al massimo si può scegliere fra specie diverse di impurità.
La stessa ricerca della purezza può dar luogo a fanatismi. Si pensi ad Hitler che, nel suo folle progetto, voleva preservare la purezza della razza ariana! Ma ogni popolo è un miscuglio, come ogni organismo e ogni vita. Non esiste il puro: l’essere è una macchia nell’infinità del vuoto, e ogni esistenza è impura.
Eppure in quasi tutte le religioni si è affermata la seguente distinzione: è puro tutto ciò che corrisponde a quanto la legge divina impone e autorizza, è impuro tutto ciò che questa stessa proibisce o sanziona. La purezza diventa lo stato che consente di accostare le cose sacre senza sporcarle e senza perdersi in esse. Si comprende che tale impostazione non può che avere come conseguenza l’emergere di tutte le proibizioni, i tabù e i riti di purificazione presenti nelle grandi religioni. E tuttavia i maestri hanno sempre detto che l’essenziale non è nei riti, ma in ciò che i riti suggeriscono o generano: la purezza cultuale col rispetto delle varie prescrizioni è solo il primo passo verso una purezza interiore.
Dunque, la purezza va intesa come la via per riportare la persona all’unica cosa che è pura o può esserlo: il cuore. Nulla infatti è puro o impuro in sé: la stessa saliva fa lo sputo e il bacio; lo stesso desiderio fa lo stupro o l’amore. Il sesso non è impuro: lo è la forza, la costrizione, lo è tutto ciò che umilia o avvilisce, tutto ciò che profana e degrada, tutto ciò che è senza rispetto, senza dolcezza, senza riguardo. Simone Weil diceva: «l’amore non esercita e non subisce la forza; è questa l’unica purezza».
La purezza consiste nel desiderio senza colpa e senza violenza, nel desiderio accettato e condiviso. Non il desiderio che si esalta nella trasgressione o nella violenza. È la dolcezza del desiderio, la pace del desiderio, l’innocenza del desiderio. La purezza è un modo di non vedere il male laddove, in effetti, non c’è. L’impuro vede il male dappertutto, e ne gode. Il puro non vede il male da nessuna parte, o meglio soltanto là dove c’è, dove egli ne patisce: nell’egoismo, nella crudeltà e malvagità. Impossessarsi di qualcosa è già sporcarlo. Amare con purezza è invece consentire la distanza, assenza di potere e di controllo, accettazione gioiosa e disinteressata. Diceva Pavese che sarai amato il giorno in cui potrai mostrare la tua debolezza senza che l’altro se ne serva per affermare la sua forza. C’è dunque l’amore che prende, ed è amore impuro. E c’è l’amore che dà o che contempla, ed è la purezza.
Da queste precisazioni si comprende che la purezza è essenziale all’amore, anzi è una particolare modalità dell’amore. Si può dire che la purezza è ciò che permette all’amore di essere tale, nel suo significato più vero. È questo l’amore che bisogna testimoniare e insegnare ai giovani. Le cronache di questi tempi sono piene di episodi di violenza, omicidi e forme di ritorsione di giovani verso la propria fidanzata o fidanzato. Tutti sono accomunati dall’amore impuro, inteso come possesso, sfogo totale, riduzione dell’altro a sé stessi. Ma questo, pur nell’ipotesi di ammissibilità, produce tristezza, insicurezza, solitudine… tutte cose contrarie all’amore.
Pertanto rimettere al centro il tema della purezza non è andare nel passato, ma preparare i giovani ad un futuro più maturo e sereno. È aiutarli a comprendere che amare con purezza non è prendere, ma accettare, dare, perdere, gioire di ciò che ci manca, di ciò che ci rende infinitamente poveri ed è il solo bene e la sola ricchezza. Il puro amore è l’amore disinteressato. C’è purezza ogni qual volta l’amore smette di essere «un miscuglio di interessi», quando si ama senza cupidigia.
Insieme alla riscoperta della centralità della virtù della purezza in ordine all’amore, ne segue il rimettere al centro dell’opera educativa dei genitori i sentimenti e la loro gestione. La famiglia – anche quella cristiana – spesso si è ridotta ad un insieme di norme e cose da fare e non fare. Bisogna dare spazio ai sentimenti e a farli diventare materia di condivisione perché i giovani possano imparare a dire «Ti amo con un amore che è più dell’amore (E.A. Poe).
In questo senso anche le comunità cristiane possono svolgere la loro parte se sapranno alimentare percorsi per i genitori che in qualche modo mettano al centro il tema dell’amore e dell’educazione all’amore. La pastorale familiare deve superare i limiti di un’impostazione schiacciata solo sull’indissolubilità e la procreazione, ma aprirsi a come aiutare i genitori a curare tutto ciò «che esce dall’uomo» (cf. Mt 15,10). Perché la purezza è l’atteggiamento invisibile che anime le famiglie sane e abilita i giovani alla felicità nelle relazioni, a godere non per quello di cui ci si impossessa ma per ciò che si dona.
Vittorio Zeccone