In senso letterale l’horizon è una linea apparente dove il cielo sembra toccare la terra o il mare.  Nel senso non letterale, ma figurato, l’orizzonte è il punto verso cui tendere nella vita per realizzarsi come spirito e mente o una meta irraggiungibile, come la felicità, che più sembra vicina, più si allontana. Esso rappresenta uno stimolo, una perpetua motivazione interiore, un imput a non accontentarsi, la spinta ad avvicinarsi al mistero che è la vita. Sperimentiamo tutti, prima o poi, la vita come una gabbia. L’unica via di uscita è percepire dentro che esiste qualcosa di più grande, che ci supera e ci comprende.

In qualche modo portiamo dentro di noi il desiderio di andare oltre, di superare il limite. Se da un lato sappiamo di essere limitati, dall’altro l’orizzonte ci spinge alla conoscenza più profonda di noi stessi, una conoscenza che ha i tratti dell’infinito. La società delle apparenze vorrebbe costringere il giovane a restare nel limite, a impostare la vita in obbiettivi esclusivamente materiali. La maggior parte è impegnata a godere di una felicità immediata, rinunciando a pianificare obiettivi significativi a lungo termine. Eppure la sete del di più, dell’infinito, rimane dentro.

Non si tratta di dimostrare il bisogno di infinito che è in ognuno di noi; ci sta, è un dato. Piuttosto bisogna aiutare i giovani a superare la difficoltà di rispondere alle domande: verso dove? Come? Aiutarli a lasciarsi abbracciare dall’infinito che è mistero; aiutarli a lasciar vivi i loro sogni e le loro aspirazioni, a sostenerli perché continuino a credere che è possibile raggiungere con fatica la vetta, magari sostenuti da una mano salda che faccia luce dentro e davanti. L’inseguimento dell’orizzonte non è compito per i temerari; piuttosto è sufficiente infondere nei giovani il coraggio di conoscere se stessi, giorno per giorno, lungo il sentiero della vita, sperimentando ad ogni passo il rischio di osare il meglio di sé. L’opera educativa fondamentale è: sostenere i giovani nell’accostarsi al proprio limite. Senza precederli o sostituirci a loro. Testimoniando questo accompagnamento i giovani non si sentiranno smarriti di fronte ai propri limiti, ma forti dell’aiuto ricevuto, vorranno andare oltre, vivere fino in fondo la propria vita.

Nel vangelo di Luca leggiamo le seguenti parole di Gesù: «Quando vedete una nuvola salire da ponente, subito dite: Viene la pioggia, e così accade. E quando soffia lo scirocco, dite: Ci sarà caldo, e così accade». Quindi l’ammonizione: «Ipocriti! Sapete giudicare l’aspetto della terra e del cielo, come mai questo tempo non sapete giudicarlo?» (12,54-57). Prendendo a prestito due dati dell’esperienza umana il Signore invita a vivere il presente sapendo cogliere i segni di ciò che non è ancora manifesto. Come c’è un peso del passato che condiziona la storia, vi è anche un peso del futuro che può avvolgere la vita e dispiegarla su scelte di ampio respiro. La vera sfida per un giovane è quella di correre verso il futuro.

Ma come vivere il presente imparando a cogliere il futuro?

In primo luogo occorre imparare a godere del presente: si tratta di lavorare sulla capacità di esprimere gratitudine o di perdonare chi ti ha fatto dei torti. Gode del presente chi riesce a lavorare criticamente su di sé e a sganciarsi dall’ossessione del superuomo. Essere grato per quello che si è non è vivere al ribasso; piuttosto è avere consapevolezza dei doni ricevuti. Se un certo atteggiamento vittimistico appartiene alla generazione matura, risulta improponibile nei giovani che hanno dalla loro la possibilità di attivarsi e sporcarsi le mani. Perdonare chi ci ha fatto dei torti è diventare grandi senza restare incatenati nel passato.

Altro passaggio importante è accogliere le sfide. Spetta ai giovani provare a rimodulare in modo nuovo il rapporto con il creato, reimpostare una convivenza solidale, favorire la crescita di tutti. Sono sfide epocali che vanno accolte. In tal senso è fondamentale il ruolo degli educatori e anche delle comunità parrocchiali che devono consegnare ai giovani un messaggio di fondo: tu puoi, ce la puoi fare! Pensiamo per qualche istante al giovane Davide, scartato anche da suo padre, che stenta a presentarlo al profeta Samuele. Eppure è il prescelto per diventare il primo re d’Israele. Il giovanetto disincantato e esile diventerà il più grande re della storia del popolo ebraico. Dio si fida di lui. Dio si fida dei giovani. D’altronde Gesù non ha forse scelto come apostoli tutti giovani ragazzi della Galilea? E la madre del Redentore non è stata forse una giovane fanciulla d’Israele?

Un ultimo passaggio possiamo chiamarlo: camminare sulle ali dei propri sogni. I giovani non vanno smorzati, ma spinti, incoraggiati. Una società è vecchia quando tutto è nelle mani dei soliti. Una Chiesa è vecchia quando non permette ai giovani di esprimersi.

Durante l’incontro ecumenico e interreligioso con i giovani nel suo viaggio apostolico in Bulgaria e Macedonia del Nord Papa Francesco rispondendo alla domanda della giovane Liridona ha detto: «Mi chiedevi: “Sogno troppo?” Una domanda molto bella. Vorrei dirvi: sognare non è mai troppo. Uno dei principali problemi di oggi e di tanti giovani è che hanno perso la capacità di sognare. Né molto, né poco, non sognano. E quando un giovane non sogna questo spazio viene occupato dal lamento e dalla rassegnazione o dalla tristezza. Quando tutto sembra fermo e stagnante, quando i problemi personali ci inquietano, i disagi sociali non trovano le dovute risposte, non è bene darsi per vinti. Per questo, cari amici, mai e poi mai si sogna troppo. Provate a pensare ai vostri sogni più grandi: dare speranza a un mondo stanco, insieme agli altri. Senza dubbio è un sogno molto bello. Quale avventura richiede più coraggio del sogno di ridare speranza a un mondo stanco? […] Quale maggiore adrenalina che impegnarsi tutti i giorni, con dedizione, ad essere artigiani dei sogni, artigiani di speranza? I sogni ci aiutano a mantenere viva la certezza di sapere che un altro mondo è possibile e che siamo chiamati a coinvolgerci in esso e a farne parte col nostro lavoro, col nostro impegno e la nostra azione […]. Un giovane che non rischia è un morto.» (7 maggio 2019).

E la Chiesa cosa può fare al riguardo? Forse dapprima bisogna considerare quanto bisogna convertirsi ancora. Basta domandare al tuo parroco se ti aiuta a realizzare qual grande sogno? Vedi qual è la sua risposta. Ci accorgeremo tutti del margine di cammino che dobbiamo compiere.

Vittorio Zeccone