La tesi di quest’articolo è la seguente: fino a quando il giovane non scopre la sua missione, la sua vita sarà come uno girare a vuoto. A monte di questa tesi vi è un dato che ci consegna la Bibbia: l’esistenza porta in sé un tesoro da scoprire e per il quale vale la pena vendere tutti gli altri beni (cf. Mt 13,44). Allo stesso tempo la missione da scoprire non è un optional ma dovrebbe impegnare i giovani nel loro cammino di fede: il tempo trascorso “in chiesa” deve qualificarsi come tempo di discernimento.
Non è questo il luogo per entrare in distinzioni tecniche, sia a livello filosofico e fenomenologico circa il tema della fiducia. C’è però un dato che accomuna le diverse dimensioni della fiducia (l’essere se stessi di fronte ad un altro, essere centrati nella vita e originali) in ordine alle tre fattispecie verso cui è indirizzata: quella relativa ai genitori, agli amici e a Dio: la fiducia rende idonei e lega colui che la possiede con colui verso cui è rivolta, fa’ in modo che il ricevente – pur nella sua libertà salvaguardata – senta come propri i desideri e i progetti delle persone di cui si fida.
Normalmente la fiducia nei genitori ce la ritroviamo e non la mettiamo in discussione: si basa sui legami di sangue ed ha il fine di darci una struttura, dei punti di riferimento per il normale sviluppo della vita; questi riferimenti poi, al netto dell’originalità di ciascuno, ci portano a continuare la medesima storia familiare. Qui la fiducia diventa corroborante una storia che è già iniziata.
La fiducia negli amici, invece, si acquisisce con le esperienze condivise e rappresenta un motivo per sentirsi accolti e legati agli altri: questa fiducia sorge più facilmente quando si hanno gli stessi sogni, desideri, gusti. In questo caso la fiducia è il carburante del presente.
Diversamente, la fiducia in Dio la riceviamo come dono e, una volta che l’abbiamo accolto, porta in sé un compito molto più ampio, non circoscritto alle relazioni familiari o a quelle amicali. La fiducia in Dio è una pedana di lancio perché la vita possa inscriversi nel grande progetto di Dio per la salvezza del mondo e finalmente esplodere e divenire molto più grande e bella di quello che avremmo potuto immaginare noi, o i nostri genitori e amici. Qui la fiducia è una costante euristica di ciò che è la nostra vita in Cristo.
Il punto su cui focalizzarsi quando si parla di vita del giovane come missione è il seguente: non possiamo assegnare alla fede in Dio lo stesso compito che assegniamo alla fiducia verso i genitori o agli amici. La fede in Dio è connaturale ad un progetto divino, non esclusivamente familiare o amicale, ma molto più ampio e profondo e per questo tutto da scoprire, in alcun modo scontato. Quando Gesù chiama i primi dodici giovanotti ad immischiare la propria vita con la sua lo dice chiaramente: «Ne costituì Dodici perché stessero con lui e per mandarli a predicare con il potere di scacciare i demoni» (Mc 3, 14-15). Troviamo in queste parole come le tappe del rapporto di fiducia tra il giovane credente e il Creatore al fine dell’individuazione della propria missione. Una volta tacitate le diverse obiezioni umane e accolto Gesù Cristo come roccia della vita, il passo seguente è andare alla scoperta del fine di questa fede, della ragione per cui io credo e altri no? Dell’utilizzo che debbo fare di questa fede? Della discriminante che questa fiducia in Dio, per Gesù Cristo e nello Spirito Santo ha rispetto a tutte le altre relazioni?
«Ne costituì Dodici» – La fiducia in Dio conduce ad una stabilità la vita del giovane. Dio non solleva dal lavoro su se stessi, ma l’orizzonte di un Dio che è padre radica il giovane sul terreno della vita, che ora può calpestare con tranquillità. Il giovane che incontra Dio non è uno sfigato, ma uno che sa come è fatto e soprattutto con chi è alleato. La fiducia in Dio porta solidità.
«…perché stessero con Lui» – Gesù chiama i suoi e con loro stabilisce una comunità di vita: in questa vita assieme le due parti conoscono gli uni i progetti dell’altro. Non c’è un travaso, ma una progressiva conversione e accoglienza del progetto migliore: e gli apostoli – ad un certo punto – non possono che riconoscere che il progetto di Cristo è la loro piena felicità, in una dimensione ben diversa da quella cui potevano arrivare i loro legittimi desideri, molto di più. Similmente: se un giovane vuole conoscere il progetto migliore per sé, per la propria vita deve “stare con Lui”. Qui la fiducia entra in gioco come tempo di ascolto, di verità e di scoperta.
«…e per mandarli a predicare» – Stando con Cristo si arriva a scoprire che si è molto di più che una famiglia, molto di più che degli amici. Si scopre che la fiducia nel Padre conduce su strade inimmaginabili o che prima spaventavano. Più che scoprire la missione, si tratta di ritrovare a contatto con Gesù quello che era stato coperto da nostri progetti vuoti o di piccolo cabotaggio o di conservazione. Una delle domande ossessive che un giovane credente pone è: “che vuole Dio da me?”. Che fatica aiutarlo a comprendere che Dio non vuole proprio un bel niente, che non gli manca nulla: piuttosto è il giovane a non poter fare a meno di un Padre così e di un Figlio presso il quale ci si è fermati. Dio come sempre attiva un processo nel cuore dell’uomo, ma lascia ad ognuno il compito di completarlo.
Un’ultima domanda. Ma se non si scopre questa missione di Dio per me, si potrà essere felici? Si potrà vivere, portando sempre in una parte nascosta di se, la nostalgia di quello che non ho voluto approfondire. Per il giovane credente è necessario risolversi affrontando il tema prima. E allora si che la vita diventerà scuola di bellezza e di felicità.
Vittorio Zeccone