Perché soltanto ora incontriamo Gesù nel vocabolario del giovane credente? Per ribadire ancora una volta che l’incontro con Cristo nella vita di un giovane diventa decisivo allorchè ci sia stata o si sia avviata una profonda ricognizione del vissuto umano ed una rilettura sensata delle esperienze. Diversamente, anche quando si ha un incontro emotivamente significativo con Gesù, che però non si innesta su di un piano umano elaborato, tutto va a spegnersi. È solo questione di tempo. In sintesi: a prescindere dal momento in cui si ha l’incontro con Cristo, la relazione con Lui parte quando il piano umano viene integrato in quello spirituale. La scissione tra questi due ambiti provoca macelli: da un lato giovani credenti disincarnati ma legati a cotte, merletti e novene, dall’altro giovani credenti socialmente attivi ma senza spazio in cui respirare il ‘mistero di Dio’. Rimane come dato – attestato da ogni indagine statistica – che la religiosità e la ricerca di senso fanno parte del mondo dei giovani, anche se oggi queste hanno deviato verso la sfera del privato e soprattutto marcano una netta distanza dall’etica.
Ora, proprio la persona di Gesù, in quanto Figlio di Dio, rappresenta il luogo teologico ed esistenziale in cui il giovane può ritrovare la via dell’integrazione e intraprendere un cammino verso la bellezza della vita. Ma come fare? Cosa fare? È urgente rinnovare l’offerta religiosa della Chiesa: superare una razionalità strumentale sviluppando una dimensione estetica e mistica della fede, spezzare una burocratizzazione alienante promuovendo la dimensione di comunità e d’incontro personale, affrontare l’assenza di cuore e di esperienza con un maggiore sviluppo del linguaggio simbolico e affettivo, e una maggiore presenza di esperienze di vita condivise. Ecco la sfida del dire Dio ai giovani oggi. Va da sé poi che ognuno di questi aspetti dovrebbe essere oggetto di studio da parte di molti addetti ai lavori. Mutuando le parole di San Giustino Russolillo potremmo dire: non mancano i giovani che desiderano Cristo, piuttosto mancano i veri evangelizzatori. Al netto di tutta la secolarizzazione che vogliamo, si deve denunciare la mancanza di un impegno dell’evangelizzatore e dell’educatore nell’aprire vie verso l’interiorità, nell’aiutare i giovani a fare esperienze significative che riempiano il cuore: esperienze di silenzio, di accoglienza gratuita dell’altro, di servizio generoso, ecc. Queste vie sviluppano l’apertura alla Trascendenza e risvegliano la sete di Dio, anche se non ancora conosciuto. D’altronde, come si può sperare di stimolare tale percorso nei giovani se il nostro stile di vita addormenta o acceca il desiderio profondo di verità, di Dio? Se la stragrande maggioranza dell’apostolato è caratterizzata da proposte frettolose, rumorose, superficiali e tese solo ad esperienze forti che però soddisfano i bisogni immediati? Se il modo di vivere ed esprimere la fede di molte comunità cristiane (parrocchie, comunità religiose…) è lontanissimo dalla forma con cui i giovani vedono e vivono la realtà? Se a noi – uomini e donne di Chiesa – manca il coraggio evangelico di lasciarci mettere in discussione dai giovani e preferiamo rinchiuderci nella comfort zone delle nostre chiese e conventi, contravvenendo alla dinamica del Vangelo che è annuncio in uscita? Il cristianesimo è stato sempre rottura rispetto alle strutture dominanti e alle ideologie. Ci siamo istituzionalizzati al punto tale da perdere contatto con la sorgente. La prova di quanto vado affermando non sta nella forza di un ragionamento, ma nella constatazione che, laddove gli uomini e le donne di Gesù Cristo hanno saputo ripartire dal Vangelo vissuto, queste esperienze hanno fatto il carico di giovani, hanno rinnovato metodi, strumenti ed entusiasmo e hanno raccolto anche frutti vocazionali.
In questo baillamme che è diventata l’esperienza religiosa dei giovani si può solo ripartire dal fondamento: la vita e la persona di Gesù Cristo. Non più incrostazioni storiche che nel tempo si sono aggiunte diventando dei freni per la freschezza del messaggio di Cristo, non più strutture paralizzanti che danno ai giovani la percezione di dover scalare una montagna troppo alta, né tantomeno condanne aprioristiche che gli uomini e le donne di Dio usano come strumento irritante per la mentalità giovanile! Benedetto XVI indicava questo per tutta quanta la Chiesa: «non si comincia ad essere cristiano per una decisione etica o una grande idea, ma per l’incontro con un evento, con una Persona, che dà un nuovo orizzonte alla vita, e con ciò, un orientamento decisivo» (Deus Caritas est, 1). Il cristianesimo è e rimane l’incontro personale col Signore Gesù che cambia radicalmente la vita e ci fa veri cristiani. Quello che noi possiamo fare è attivare percorsi e iniziative, liberare il campo perché i giovani comprendano che Gesù Cristo, il Figlio di Dio fatto uomo per amor nostro, è la migliore notizia per tutta l’umanità, per la loro vita. Quando riceviamo una notizia veramente buona facciamo esperienza di tre cose: è inattesa, ci giunge ‘da fuori’ e riempie il nostro cuore di gioia insolita. Non si tratta di gioia umana, ma della meravigliosa verità che Dio ci ama e che ci ha fatti suoi figli in Cristo. È questa la migliore notizia che possiamo ricevere. Perché questa notizia arrivi al cuore dei giovani c’è bisogno di chi la sappia comunicare: «Come potranno invocarlo senza aver prima creduto in lui? E come potranno credere, senza averne sentito parlare? E come potranno sentirne parlare senza uno che lo annunzi» (Romani 10,14).
Ne segue che abbiamo tutti il dovere di prendere sul serio il compito di evangelizzatore e missionario della Chiesa. Ed in questa direzione portare il Vangelo ai giovani è il nostro compito più importante. Non si tratta di proporre un insieme di idee o di norme, ma comporre un itinerario di fede che porti ad un incontro vivo con Cristo. Itinerario e incontro che al tempo stesso portino i giovani alla realizzazione umana e al cammino di santità. Altrimenti perché i giovani dovrebbero conoscere Gesù se non percepiscono che Egli li realizza e li rende felici?
Qui non possiamo affrontare in maniera diffusa il tema degli itinerari di fede per i giovani, ma possiamo dire che ce ne sono diversi, i quali dipendono dalle situazioni in cui i giovani si trovano. Molte scene del Vangelo sono paradigmatiche per la realizzazione di un itinerario di fede. Per sviscerarli occorre studio, preghiera, lavoro di gruppo.
Usiamo l’intelligenza nelle nostre proposte ai giovani perché si scoprano figli amati da Cristo, continuando a restare giovani in questa società.
Il giovane credente è una persona che vive la vita come vocazione, realizzazione di un progetto che dà senso e unità a tutte le sue azioni e preoccupazioni; è una persona di speranza, che sa vedere sempre il positivo, anche se piccolo e imperfetto; una persona interiore, capace di fare silenzio e di ascoltare la voce di Dio nella sua vita quotidiana; una persona di comunione, di accoglienza e di collaborazione; una persona che vive l’impegno quotidiano con fedeltà e competenza, mai in modo superficiale.
C’è da lavorare se vogliamo una Chiesa dal volto sempre giovane di Cristo.
Vittorio Zeccone