“A” come “ancòra”. Mi riferisco proprio all’avverbio di tempo, quello che indica la “continuazione insistita di un’azione”. Nel contesto storico che viviamo, con la decadenza dei grandi temi d’impegno e dei sentimenti nella loro versione più forte, ai giovani non si può che annunciare questo avverbio di tempo. Non è tempo di grandi consigli, puntualmente inascoltati, né di paternali ossessive che anche in famiglia non trovano più ascolto. “Ancòra” è non arrenderti, non mollare, nonostante le tante cadute. Vale sempre la pena di ripartire daccapo, imparando ogni volta qualcosa di buono. Gli stupidi dicono ‘basta’.
L’irrequietezza e l’insoddisfazione che anima la vita di un giovane, porta con sé la spinta a non fermare la ricerca. In questo vortiginoso movimento del cuore c’è anche la spinta a cercare qualcosa di stabile e fedele. Un giovane che sente nel cuore di doversi migliorare non lascia nulla al caso ma ancòra si mette in movimento. Tuttavia la ricerca, per essere vera, non deve escludere nessuna delle possibilità. Di norma ci si muove per le strade indicate dai media e dalla massa: queste sorgenti propongono modelli di vita disinibita e al tempo stesso incompleti. E allora perché non sondare con lo stesso slancio la conoscenza con Cristo? Non mi riferisco al Cristo di quando eri bambino e andavi la domenica in chiesa, né a quello conosciuto e poi dimenticato nell’adolescenza. Ma il Cristo amico. Come ogni amicizia, anche questa suppone momenti di ascolto, di confronto, È chiaro che l’amicizia con Cristo non offre i medesimi entusiasmi e piaceri sensibili delle scorciatoie che si trovano in giro. Tuttavia: cerchiamo attimi o stabilità? Momenti o eternità? Sta qui l’originalità dell’incontro con Cristo: egli offre la sua presenza costante e incrollabile, qualunque sia la tua fragilità e dopo qualsiasi caduta.
I vangeli raccontano dell’incontro di Gesù con un giovane ‘ricco’. Nel dialogo tra i due emerge a grandi linee la dinamica di un possibile incrocio tra questi mondi: stabilità e frenesia. Tale relazione andrebbe approfondita. Qui mi limito ad alcuni passaggi fondamentali.
Quel giovane è modello di tanti giovani: ricchi di cose e pseudo-sicurezze ma frenetici, disadattati, impulsivi o – che è lo stesso – timorosi di tutto e tutti. Matteo precisa che il giovane “gli corse incontro”, immagine potente che l’io autentico non si arrende fino a quando non avrà trovato una dimora stabile.
Primo passo: ascolta il rumore che è dentro di te. In quel “silenzioso-rumore” c’è il grido di ciò che desideri e al tempo stesso ci sono le coordinate di dove cercare. Non bisogna smettere di ascoltarsi. E magari recuperare questa capacità anche lasciandosi aiutare. Non è vero che i giovani non cercano. Hanno solo posticipato la ricerca dopo tante cadute. Ed anche questa è grazia perché esclude la manipolazione ossessiva degli adulti, i quali sono facili ad imporre i loro schemi.
Quel giovane domanda: “Maestro buono, che devo fare di buono per avere la vita eterna?” Possiamo rileggere la domanda in questo modo: “Le cose che ho mi piacciono ma non spengono il desiderio di ‘un’ qualcosa… Puoi aiutarmi in questo?” Tanti giovani oggi esprimono il medesimo disagio quando rivelano: “Mi manca sempre qualcosa… ma non so cosa”. “Vita eterna” è ciò per cui un credente cammina con Cristo. Ma cosa vuol dire questo per tanti secolarizzati? Bisogna reinterpretare il concetto: “Vita eterna” è ciò per cui vale la pena di vivere e affrontare tante prove. E vivendo per “ciò che vale sempre” si è sulla strada implicita di Cristo. Nessuno può vivere di dolorose nostalgie, di rimpianti che nel sottosuolo della propria normalità continuano a sanguinare. Solo in seguito avverrà l’esplicitazione dei termini e la precisazione dei contenuti.
Secondo passo: per cosa vale la pena di vivere? Confronta il podio delle tue preferenze con quelle dei tuoi amici. È qui che si inserisce il lavoro dei cristiani adulti (genitori, accompagnatori, sacerdoti e laici maturi). La capacità di ascoltare, di farsi carico delle ansie dei giovani, di non dare risposte. Questo è un lavoro generativo: come i genitori curano il bimbo che verrà con l’attesa, così la comunità cristiana deve sviluppare vicinanza e attesa nei confronti dei giovani. La sinodalità su cui oggi la Chiesa si interroga è condizione imprescindibile per la cura e la crescita specialmente dei giovani.
Terzo passo: benedici i tuoi limiti. È la cosa più difficile. Siamo tutti figli del mito del superuomo di Nietzsche… Oscurando i limiti abbiamo creato un apparato fasullo, convinzioni rigide, assolutizzazioni, dogmatistmi…, radicalizzazioni che stridono con la vivacità dell’animo umano. Gli uomini non si troveranno mai d’accordo sui punti di forza, ma solo sui punti di debolezza. E questa è simpatica. La forza è antipatica. Gesù stesso non si sofferma tanto sui comandamenti; li accenna soltanto al giovane del vangelo. Nulla più. Piuttosto gli ricorda di “vendere tutto e darlo ai poveri”, di sperimentare la povertà esistenziale come chiave ermeneutica per il percorso di ingresso nella vita. Ogni tempo ha le sue coordinate esistenziali e quelle di oggi non possono essere quelle dei nostri genitori. C’è un debito comunitario che abbiamo gettato sulle spalle delle giovani generazioni, più pesante del pluricitato debito pubblico italiano. Questo, nel tempo, ha irrigidito i grandi e resi indifferenti i giovani, facendoli arrivare a sottostimarsi. Anche quando le condizioni pedagogiche funzionano, i giovani vivono non si sentono in grado di prendere grandi impegni. Bisogna invece dirlo a chiare lettere: “Tu vali a prescindere, vali anche se non funzioni come dico io, anche se non riesci nelle cose in cui io sono riuscito”.
Ecco la sfida. E con essa sono implicate le strutture ecclesiali, le curie, le parrocchie, i movimenti, Una Chiesa senza questa capacità rischia di essere un museo, di quelli però quasi deserti.
Vittorio Zeccone